Su Parigi, la così detta Ville Lumière, si sono spese più di mille milioni di parole e non saranno certo le mie a mancare. Le librerie pullulano di guide su questa città, da quelle più classiche a quelle più alternative, fino a quelle che ripercorrono i luoghi dei poeti francesi o dei film che sono stati girati tra le vie di Parigi.
Ci sono stata tante volte, a Parigi. Ho cominciato con una gita in terza media, poi un paio di volte con i miei genitori, per ritornarvi in seguito con la scuola superiore. Sette anni fa una delle mie più care amiche si è trasferita lì e da allora ho avuto l’occasione di andarla a trovare diverse volte.
Parigi quindi l’ho conosciuta un po’ alla volta, in diverse stagioni, per varie occasioni. Ogni volta penso che ormai di Parigi io abbia visto praticamente tutto e che la prossima volta non ci saranno novità che mi stupiranno. E invece non è mai così.
La Ville Lumière è magica e questo è indiscutibile; per la sua bellezza aggraziata, per le sue architetture inconfondibili, per la sua lingua volteggiante, per la storia che trasuda da ogni pietra, per le anime di artisti e poeti che non l’hanno mai lasciata e che si fanno ancora percepire.
In una mappa di Parigi che con un filo di orgoglio osservo puntando l’indice dicendo “Ah sisi, ho presente” quello che posso fare è consigliarvi qualche direzione, alcuni percorsi e tappe. E se non approfondirò troppo i dettagli non è per incuria, ma perché quando sarete li, la magia dovrà fare il suo corso.
Nella prima parte di questo diario di viaggio troverete una proposta di itinerario per visitare tutti i principali monumenti della città. Vorrei provare a suggerirvi un percorso che possa permettervi di ammirare questi luoghi nell’arco di una sola giornata, fatti salvi gli ingressi ai musei.
Nella seconda parte di questo racconto invece, cercherò di uscire dalle tradizionali rotte turistiche e di parlarvi della Parigi che mi è rimasta più nel cuore, raccontandovela dal mio personalissimo punto di vista. Se siete già stati a Parigi, potete cominciare a leggere direttamente da questa seconda parte, che prende il via dal quartiere del Marais.
Cominciamo!
La prima grande verità su Parigi è che anche se è la ventesima volta che ci andate e anche se questa volta volete fare i giri più autentici, come i veri local, alla fine prima di andare via vi sentirete in obbligo di andare a vedere la Tour Eiffel, quindi smettiamola di fare gli alternativi della domenica e cominciamo da li.
Struttura di ferro alta 312,27 metri, la Tour Eiffel non ha bisogno di presentazioni. Essa sorge all’interno dei Champ de Mars, un parco-prato in cui nei giorni di festa nazionale è d’uso andare a fare grandi pic-nic all’ombra della torre.
Simbolo indiscusso di Parigi, la Tour Eiffel è bella sempre, ma di notte si illumina di mille lucine che brillano e per me questa è la massima espressione di tutto ciò che mi evoca la parola “Ville Lumière”.
Un grande passatempo che in tutti questi anni non mi ha ancora annoiata è provare a farle la foto perfetta. Sono mille le angolazioni dalle quali si può provare a far stare questo grande monumento nell’inquadratura, e diversi i punti di vista dai quali cercare di catturarne l’essenza.
Questa operazione oggi risulta però più difficile di un tempo, perché dopo gli attentati subiti dalla capitale francese negli ultimi anni le misure di sicurezza messe in atto in città si sono moltiplicate e uno dei provvedimenti adottati è stato quello di recintare tutta la base della torre con dei muri di plexiglass trasparente che, seppur non rovinano di molto la visuale, decisamente castrano le fotografie.
Vi suggerisco di recarvi quindi sul vicino Pont de Bir-Hakeim per godere di quella che secondo me è la più bella prospettiva, anche fotografabile, della Tour Eiffel; da qui potete spiarla mentre si specchia nella Senna.
Piccola nota: su questo ponte è stata girata una famosa scena del film “Inception” con Leonardo Di Caprio.
Lasciando la Tour Eiffel, che abbiamo ormai visto da tutte le angolazioni, proseguiamo alla scoperta della città.
Dirigendovi verso ovest potete facilmente raggiungere alcuni luoghi noti. La casa di Balzac, scrittore francese; le Bois de Boulogne, un parco sconfinato; il Muséè Marmottan Monet dove potete apprezzare con i vostri occhi le pennellate delle ninfee del celebre impressionista; il Musée de l’Homme sulla storia dell’uomo. Ma soprattutto non siamo lontani dall’Arc de Triomphe, un grande arco ispirato all’architettura dell’antica Roma voluto da Napoleone Bonaparte, un altro dei simboli indiscussi di Parigi.
Mentre osservate le volte dell’arco vi renderete conto di essere, fondamentalmente, in mezzo alla strada, anzi, nel pieno di un enorme incrocio stradale. Siamo a Place de l’Etoile, Piazza della Stella, ed è proprio la figura di una stella il risultato di cinque e più strade che si incontrano tutte qui, in un punto di comunione preciso, sotto l’Arco di Trionfo.
Ci incamminiamo lungo la più celebre di esse, gli Champs–Élysées. Un glorioso boulevard ricamato di luci, teatri, vetrine e café che accompagnano chi passeggia godendo della frescura offerta dagli alberi che incorniciano il lungo viale, in una immaginaria linea retta che dall’Arc de Trionphe ci conduce fino a Place de La Concorde.
Nata come piazza per celebrare il Re di Francia, Place de la Concorde durante la Rivoluzione ospiterà a lungo la ghigliottina dove venne decapitato, tra i tanti, Robespierre.
Vi dico la verità, a me questa piazza proprio non piace.
Non mi piace non vederne la fine, mi sembra una di quelle piazze che non si possono interamente abbracciare con lo sguardo e quindi mi infastidisco a non poterne cogliere le geometrie. In più Place de la Concorde è una distesa d’asfalto nel quale la vista di due enormi fontane decorative si scioglie, come non ci fossero; ogni volta che vengo qui me ne voglio andare, faccio fatica ad attraversare la sua ampia metratura schivando le molte automobili che per di qui transitano.
C’è una cosa però che mi da tregua e che mi estranea completamente da tutto il resto. Un obelisco nero svetta al centro della piazza, straniante, sembra un oggetto dimenticato qui per caso per quanto poco centri con tutto ciò che gli sta intorno.
In effetti questo obelisco arriva non solo da altri luoghi, ma da altri tempi. Si tratta di uno dei due obelischi originari del palazzo di Ramses III Tebe, che venne regalato alla Francia nel 1831 dal Viceré d’Egitto, Mehemet-Ali. Quando uno dei due obelischi venne posto al centro di Place de la Concorde, la folla di spettatori ammaliati contava più di 200.000 persone.
È mentre mi perdo con l’immaginazione nel regno dei faraoni con le teste di lupo che un clacson mi riporta velocemente al presente; è ora di attraversare la strada per proseguire con il nostro tour parigino.
Su uno dei lati di Place de la Concorde si apre il grande cancello in ferro battuto che ci fa entrare nei Jardin de Tuleirie. Una lingua verde e bianca fatta di erba e sassolini si srotola davanti a noi, e più in là fontane e un grande laghetto solcato da papere. Le geometrie dei giardini sono semplici, gli alberi bassi, le statue che popolano numerose il parco sono discrete, non appariscenti. Tutto qui è misurato e pacato. Ci si siede sulle sedie in metallo verde disposte intorno agli specchi d’acqua, si chiudono gli occhi e si allunga il viso verso il sole, come fanno i fiori; lo fanno tutti, lo farete anche voi. Qui i parigini vengono a passare le domeniche a godersi il sole, un buon libro, un po’ di aria fresca.
Rigenerati, ci alziamo e concludiamo la traversata del parco, passando davanti al baracchino di gelati che ho sempre visto qui, in qualsiasi stagione, e sbuchiamo in un altro luogo parigino che non ha bisogno di presentazioni; il Museo del Louvre.
Nel 2008 il Louvre ha totalizzato dieci milioni di ingressi, salendo in testa alle classifiche dei musei più visitati del mondo. Prima fortezza, poi sede reale e governativa, diventa museo già nel 1793. La sua collezione artistica ha pochi rivali al mondo; dalla famosissima Gioconda di Leonardo, alla stele degli avvoltoi e a quella di Hammurabi, dalla Venere di Milo alla Nike di Samotracia, dalla Zattera della Medusa di T. Géricault alla Libertà che guida il popolo di E. Delacroix, la storia dell’arte occidentale è rinchiusa tra queste mura.
Una nota scontata, ma mai banale: se decidete di visitare il Louvre armatevi di pazienza perché ci passerete un’intera giornata (almeno).
Nel cortile esterno del museo c’è una piramide di vetro completata nel 1993, in occasione del bicentenario del Louvre; se ci fate caso a poca distanza da essa c’è quasi sempre una fila orizzontale di persone che sorridono in pose strane, allungando il braccio in spasmodiche direzioni. No, non sono impazziti per le ore di attesa per la biglietteria, stanno cercando di farsi fare una foto in cui sfruttando la prospettiva sembra che tocchino la piramide con un dito!
Distogliendo lo sguardo dagli equilibristi della fotocamera, ci ricordiamo che siamo giunti fino al Louvre seguendo quella linea retta immaginaria che collega l’Arco di Trionfo, gli Champs-Élysées, Place de la Concorde, i Giardini di Tuileries e il Museo del Louvre, un’unione in linea d’aria che porta il nome di Asse Storico, e che è frutto di una progettazione che ha avuto origine nel XVII secolo.
Ma per arrivare qui possiamo anche fare un’altra strada, che io preferisco decisamente.
Tornando sui nostri passi possiamo ripartire dalla Tour Eiffel e percorrere a piedi il lungo Senna. Rispetto al percorso precedente vi faccio attraversare il fiume per passeggiare sulla Rive Gauche, letteralmente “sponda sinistra”, quella che si trova a sud del fiume quando guardate una cartina di Parigi.
Passeggiare lungo la senna è possibile grazie ad un marciapiede costruito allo stesso livello del fiume, più basso rispetto alla normale strada percorsa da auto, bici e pedoni.
Camminiamo quindi con il fiume alla nostra sinistra e un alto muro di pietra alla nostra destra, quell’altezza che ci separa dal passo carraio proteggendoci anche dai rumori del traffico cittadino. È qui che con la bella stagione i parigini vengono a trascorrere le ultime ore del giorno per godersi il tramonto, due chiacchiere e un aperitivo lungo il fiume.
Mentre passeggiate vi capiterà di vedere dei grossi battelli solcare lentamente le acque della Senna; sono i Bateaux-Mouches, delle imbarcazioni che portano i turisti a fare il giro della città da una prospettiva acquea.
Da qui sono effettivamente molti i punti di interesse artistico, storico e culturale che incontriamo.
A cominciare dalla vista della Tour Eiffel, da cui stiamo partendo, per continuare con Pont Alexandre II, il ponte più bello di Parigi secondo me. Inaugurato nel 1900 a sancire l’alleanza con l’omonimo zar russo, il ponte è decorato in ogni minimo dettagli alla moda dell’Art Nouveau. Esso collega il Grand e il Petit Palais da un lato, un grande polo espositivo parigino, all’Hôtel des Invalides dall’altro, un complesso architettonico storico in cui si trova la tomba di Napoleone e che oggi per lo più ospita il museo delle armi.
Proseguendo, sempre passeggiando lungo la Rive Gauche, arriviamo presto al Musée D’Orsay e questa volta decidiamo di fare una tappa. Per visitarlo risaliamo le scale che dalla passeggiata che costeggia il fiume ci riportano al normale livello stradale ed entriamo.
Il Musée D’Orsay ha la particolarità di essere stato realizzato all’interno di una vecchia stazione ferroviaria di cui è ancora visibile la volta in ferro battuto e un grandissimo orologio che scandiva il tempo delle partenze e degli arrivi dei treni.
Il museo è celebre per la sua collezione di opere degli impressionisti e post-impressionisti francesi, da Manet a Monet, da Cézanne a Renoir, dalle ballerine di Degas alle donne di Gauguin, fino alle tele di Van Gogh.
Sono tutti dipinti che conosciamo perché li abbiamo visti mille volte sui libri di scuola, stampati su locandine e perfino su borse e tazze, perché sono parte integrante della nostra cultura europea, e forse vi sembrerà scontato vederli dal vero se non avete competenze e conoscenze artistiche specifiche. Ma non è così, non è assolutamente così.
A volte uno pensa che siano solo quadri e invece quando ti ci trovi davanti essi hanno la capacità di inghiottirti completamente, e non c’è più il museo intorno, non c’è più la gente che ti spinge da dietro per vedere, non c’è più la turista che si fa la foto insieme al quadro facendo suonare l’allarme.
Le sapienti pennellate emettono una vibrazione che attraversa i secoli, che entra nello sguardo del visitatore e che dolcemente lo accompagna, ormai inerme, in un luogo lontano, in un altrove dove questi quadri sono vivi, e sono mondi in cui vorremmo restare per sempre.
Ammaliati, affascinati, atrofizzati, usciamo dal Museo e il sole che ancora splende in questa bella giornata ci riporta a noi e al tempo presente.
Riprendiamo la nostra passeggiata da dove l’abbiamo lasciata e continuiamo a dirigerci ad est godendoci ancora per un po’ il lungo Senna.
Ad accompagnarci ora ci sono le Bouquinistes, le bancarelle di libri, perlopiù usati, che adornano questi viali dal XVI secolo. Oggi si presentano sotto forma di piccole strutture cubiche verdi che hanno la possibilità di aprirsi ogni mattina e richiudersi ogni sera. Al loro interno libri antichi, libri usati, libri nuovi, stampe, fumetti e souvenir trovano spazio per i curiosi. Sulla Rive Gauche se ne trovano molte tra Quai Voltaire e Quai de la Tournelle, mentre sulla Rive Droite le bancarelle si concentrano soprattutto tra Pont Marie e Quai du Louvre.
Oggi le Bouquinistes sono considerate patrimonio dell’Unesco e sono un ottimo posto dove trovare un souvenir diverso dal solito della vostra vacanza a Parigi.
Da una bancarella all’altra senza quasi accorgercene siamo arrivati al Pont Neuf che attraversiamo per entrare nell’Île de la Cité, un isolotto che sorge nel bel mezzo della Senna all’interno della quale si trova la cattedrale di Notre Dame de Paris.
Una sera, quando ero piccola, la televisione ha trasmesso un musical di Cocciante ispirato alla storia del gobbo di Notre Dame de Paris e io ne sono rimasta stregata. All’epoca c’erano ancora le cassette vhs e mia madre registrò lo spettacolo; ho avuto modo di consumare il nastro per quando l’ho visto e rivisto. Le tournée di questo spettacolo non hanno ancora smesso di riempire i palazzetti di tutto il mondo e un paio di anni fa sono finalmente riuscita ad andare a vederlo dal vivo. I miei quindici anni in più non hanno fatto la differenza e quando i performer cantano e ballano dondolandosi su campane sospese sul palco l’emozione è la stessa.
In tutti i miei viaggi a Parigi questa cattedrale è sempre stata indissolubilmente legata a quel musical, le cui canzoni partono in automatico nel retroscena della mia mente quando guardo la facciata gotica di Notre Dame, i dragoni che si protendono ai lati, i balzi degli archi di pietra.
Ci ho pure mangiato una crêpe qui sotto e per tutto il tempo, masticando nutella, ho osservato questa meravigliosa opera e ci ho visto attraverso i secoli.
Ma questo non è successo l’ultima volta; l’ultima volta che dalle sponde della Senna abbiamo guardato la cattedrale c’era solo il presente, un infausto presente in cui Notre Dame è andata in fiamme e di lei restano praticamente solo quell’enorme facciata che sembra dire, con fatica, io resisto, mentre dietro è il vuoto; solo torri crollate e tetti bucati in cui entrano ed escono piccioni. Nessun viaggio indietro nei secoli, nessuna musica nel retroscena della mente.
Ce ne stiamo per un po’ a guardarla in silenzio perché sembra quasi doveroso, e poi lentamente ce ne andiamo, lentamente pensiamo ad altro, un passo dopo l’altro ce ne dimentichiamo finchè senza rendercene conto arriviamo nella piazza dove sorge il Centre Pompidou.
A renderlo inconfondibile sono una serie di tubature colorate che solcano tutta la superfice esterna dell’edificio.
Nato su volontà del presidente della repubblica francese Georges Pompidou, il centro fu progettato e oggi è a tutti gli effetti un’istituzione culturale multidisciplinare, all’interno della quale troviamo esposizioni d’arte, fotografia, una grande biblioteca pubblica e spazio per attività musicali, cinematografiche, audio-visive e molto altro. Tra gli architetti che lavorarono a questo progetto, l’italiano Renzo Piano. I parigini chiamano il centro anche con l’appellativo di “Beaubourg”, dal nome della via in cui si trova.
L’arte moderna dalle sale interne al centro, dove sono conservate opere di Chagall, Picasso, Matisse e Kandinskij, si espande anche all’esterno; a destra dell’edificio una grande fontana ospita al suo interno le opere di Niki de Saint Phalle. Pittrice, scultrice, personaggio d’ispirazione, le sue opere sono visibili in molti luoghi pubblici in tutto il mondo. Qui vediamo la “Fontana Igor Stravinskj”, all’interno della quale strane figure emergono dall’acqua; volti, cuori, bocche, creature magiche, tutto rigorosamente iper-mega-multi colorato.
Siamo a pochi passi da le Marais, uno dei miei quartieri preferiti di Parigi.
Quartiere ebraico, le Marais è un nodo di viuzze raffinate, piene di negozi di alta moda e boutiques di stilisti emergenti, ristoranti kosher e non, locali ricercati, gay e non.
Dans le Marais mi piace tantissimo passeggiare in giornate di sole e fare finta di poter incorporare quell’energia frizzante che abita in questo quartiere. I marciapiedi sono invasi dai piccoli tavolini parigini dei bistrot, delle boulangerie, dei tantissimi posticini che mi invitano a sedermi a mangiare qualcosa; la vita brulica e mi sembra che tutte le persone sorridano e si dicano “Bonjour! Bonjour!” e “Oh la là!”. Cliché, lo so.
Questo è una delle poche zone del centro di Parigi ad aver risentito solo in misura minore delle trasformazioni ottocentesche promosse da Haussmann (le immagini dell’architettura Parigina che abbiamo tutti in mente le dobbiamo a lui) e ad aver mantenuto una parte consistente dell’architettura prerivoluzionaria; sarà questo che rende le Marais così particolare? Forse si, magari ad occhi esperti no, resta il mio consiglio di venire qui e passeggiare un po’ senza meta tra le sue vie assaporandone i profumi.
Turisticamente parlando, il quartiere è famoso per la Place de Vosges, una piazza con quattro lati lunghi 140 metri l’uno sui quali sorgono nove caseggiati che formano una parete continua; non mancano i francesissimi tetti di ardesia a incoronare il tutto. In un angolo della piazza vi è anche la Casa di Victor Hugo, visitabile, e diverse sinagoghe.
Usciamo rinfrancati da le Marais prendendo Rue de Oberkampf (che vi suggerisco per le serate in cui avete voglia di un po’ di festa perché qui troverete moltissimi bar e locali per tutti i gusti) che si trasforma poi in Rue de Ménilmontant; quest’ultima ci conduce nell’omonimo quartiere, Ménilmontant appunto, che si inerpica su di una collina.
Ci troviamo nel XX arrondissement, che Ménilmontant si spartisce con Belleville. Il suono di questa parola custodisce qualcosa di meraviglioso. Belleville. Quanto mi piace pronunciarlo.
Belleville è, semplificando, il quartiere etnico e multiculturale della città. Qui nacque Edith Piaf e tra queste vie sono ambientate le avventure di Malaussènne, il personaggio di Daniel Pennac .
Per gli amanti della Street Art Belleville è il posto giusto per dare la caccia alle opere del vostro artista preferito (Invader, Jérôme Mesnager, Ender, Mosko, Anis…).
Quando vengo qui mi piace risalire la collina per arrivare al Parco di Belleville, da cui si gode di una ampia vista panoramica su tutta Parigi. Più avanti parleremo di un’altra vista panoramica sulla città, quella che potete avere dalla celebre chiesa del Sacro Cuore, nel quartiere di Montmartre.
È curioso confrontare queste due viste; parimenti meritevoli, in una si concentrano turisti molto presi dai loro selfie-stick, comitive al seguito di guide che si sbracciano, viaggiatori in marsupio e cappellino. Nell’altra si è quasi sempre soli a godere del panorama, o al massimo in compagnia di qualcuno che è venuto a fare una passeggiata per il parco.
Sembra di essere in un posto speciale, ma dimenticato da tutti. Chi vive qui forse ci è abituato e, com’è noto a tutti, si valorizzano meno le cose che si hanno sotto casa e così, forse, anche gli abitanti di Belleville non si curano della loro meravigliosa terrazza su Parigi. O forse è proprio perché se ne curano che se la tengono stretta e non ne parlano, così qui non ci viene nessuno, e resta tutta per loro.
Più a nord, oltrepassando il confine che separa il XX dal XIX arrondissement, c’è un altro parco che merita una visita, il Parc des Buttes-Chaumont.
Costruito su una cava di gesso dalla quale veniva estratto il materiale per realizzare gli edifici del centro di Parigi, il vasto parco è famoso come uno dei luoghi esoterici di Parigi. Qui dentro ci si perde tra fiumiciattoli, ponti di legno, grotte, rocce in mezzo ai laghi, sculture, tempietti. La rete di gallerie della vecchia cava, oggi chiusa al pubblico, condurrebbe secondo le voci degli iniziati ad una sala segreta luogo di un potere magico.
Meno mistica ma sicuramente particolare è la presenza, nel parco, di alcune specie di piante quali il Ginko Balboa, un olmo della Siberia e un cedro del Libano, oltre ad altri esemplari che rendono il parco interessante anche dal punto di vista naturalistico.
Dopo una lunga passeggiata, usciamo dai cancelli del parco e ci troviamo a Jaures. Cominciamo l’esplorazione con ordine e partiamo dall’omonima fermata della metro, Jaures appunto, una stazione sopraelevata all’interno di una struttura in ferro battuto che merita un passaggio. Da quassù su intravede il canale che presto percorreremo, e sul bordo del fiume tra murales e scritte colorate un locale attrae la mia attenzione; è il Point Ephéimere, bar e sala da concerti in cui vi consiglio di passare una nottata parigina.
Da qui iniziamo a risalire il canale a piedi in direzione nord est.
Durante la passeggiata, che è piacevole di giorno tanto quanto di sera, si respira un’aria autentica. Lungo il fiume si alternano diversi posti interessanti dove fermarsi per un aperitivo, in particolare due sono rimasti nei miei ricordi.
Il primo si chiama La Péniche Antipode ed è un bar all’interno di una imbarcazione ancorata alla riva. Su due piani, pieno di lucine colorate e legno, è il posto perfetto per bere una birra e assaggiare una planche, il corrispettivo del tagliere all’italiana, facendo due chiacchiere con gli amici.
Più avanti invece c’è le Pavillon des Canaux, decisamente il locale più bello che io abbia mai visto (per ora). Si tratta di un bar che apre per brunch, merende, una tazza di thé, aperitivi e cene. Si mangiano degli ottimi piatti, semplici ma curati e soprattutto abbondanti. Ma quello che rende questo posto unico è l’arredamento. Al di là del meraviglioso gusto con cui sono scelti i divani, le poltroncine, i divanetti e le lampade nel piano inferiore, è salendo al piano superiore che vi accorgerete di entrare in una casa, dotata di bagno, camera e cucina, e che in ciascuna di queste stanze, arredate con uno stile ricco di particolarità e stranezze, potete accomodarvi; è così che cenare seduti dentro la vasca o accomodati nel letto matrimoniale diventa possibile, e molto divertente.
E così passeggiando lungo il fiume, da un bar all’altro, siamo arrivati nella zona de La Villette.
Negli anni ‘80 del secolo scorso in questa grande area si realizzo un ambizioso progetto che consegna oggi a Parigi un polo scientifico e culturale invidiabile.
A La Villette infatti possiamo visitare il più grande museo della scienza d’Europa, interessante e coinvolgente grazie al grande numero di installazioni interattive che ci fanno sentire come piccoli scienziati, e diverse sale per concerti, una sede del Conservatorio, un museo di strumenti musicali; e ancora spazio per le proiezioni e un grande giardino dove d’estate, tra i tanti eventi, viene organizzato un cineforum. Qui ho visto Rushmore di Wes Anderson all’imbrunire, seduta sull’erba con un piccolo pic-nic organizzato a base di vino, salumi, formaggi e pomodorini, un grande classico delle estati parigine.
Il tempo fugge e le cose da vedere a Parigi sono ancora molte. Lasciamo La Villette e puntiamo a ovest, superiamo i binari della grande stazione che corrono veloci e indifferenti verso il nord, diretti fuori, e arriviamo nel quartiere di Montmartre, che forse è uno dei quartieri parigini che necessita di minori spiegazioni. Centro da cui partire è la basilica del Sacré-Cœur, Sacro Cuore, che domina la collina. Si sale a piedi per una scalinata bianca che ci prepara alla vista di una chiesa ancor più bianca.
Da qui possiamo godere del panorama meraviglioso di cui vi accennavo prima, quello caratterizzato dai turisti con il selfie-stick.
Costeggiamo la basilica e imbocchiamo una viuzza pavimentata a ciotolato che ci conduce nel cuore del quartiere. Montmartre deve essere stata una vera meraviglia all’epoca in cui era solcato e vissuto dai tanti, tantissimi artisti che l’hanno reso più che famoso. L’idea dello scrittore seduto in un tavolino di un dehors che con carta e penna compone le sue poesie, o quella del pittore che col suo cavalletto occupa uno spazio nella piazza, all’ombra degli alberi, o ancora il musicista che vive in un sottotetto bohème e che compone i suoi pezzi… sono tutti immaginari nati qui.
Oggi il quartiere è decisamente turistico e per quanto mi riguarda anche se vale sempre la pena farci un salto, vi consiglio di non indugiarvi a lungo.
Se è vero che gli artisti sono spesso dediti agli eccessi, forse allora c’è un motivo se scendendo dalla collina di Montmartre ci ritroviamo a Pigalle, un quartiere dal nome meno noto ma di cui capirete subito l’attrazione principale quando vi svelerò che è qui che ha sede lo storico Mouline Rouge. Per i pochi che non lo sapessero, il Mouline Rouge è un teatro che sulla fine del 1800 apre le sue porte e dà la nascita al ballo del can-can. Irriverente e trasgressivo per l’epoca, il can-can divenne presto una danza famosa nei cabaret di tutta Europa. Non vi sarà difficile riconoscerlo poiché il suo nome deriva dalla presenza, sulla facciata principale, proprio di un grande mulino rosso.
A parte le Mouline Rouge, Pigalle è conosciuto come il quartiere a luci rosse di Parigi e sulle sue vie si incontrano numerosi sexy shop.
Manca ormai poco, e per chiudere questo giro con contrasto, dopo aver evocato le atmosfere della belle epoque facciamo un salto dritti verso il futuro. Ci spostiamo verso Ovest, attraversiamo la Senna e arriviamo nel quartiere futuristico di Parigi, La Defense.
È un cerchio che si chiude perché non siamo distanti, in linea d’aria, dalla Tour Eiffel da cui siamo partiti per l’esplorazione di questa città, e ancor più è il caso di dire che non siamo in linea d’aria distanti dall’Arco di Trionfo. In effetti, nel cuore del quartiere della Defense sorge un modernissimo arco che è stato posto esattamente in linea retta con l’Arco di trionfo e con l’Asse Storico che unisce tanti monumenti importanti della città; dal passato, al futuro.
Alla Defense trovano sede uffici, sedi istituzionali, rappresentanze internazionali. È il quartiere degli affari, ma ve lo consiglio lo stesso. Ciò che amo di più fare quando vengo qui (solitamente mentre aspetto che la mia amica esca dal suo ufficio, che si trova proprio sotto il moderno arco) è girovagare con il naso all’insù scattando foto alle architetture dei palazzi e dei grattacieli, e fermarmi a vedere le nuvole scorrere sulle loro facciate di vetro, dietro le quali sembra quasi non esserci nulla; come se fossero lì con il solo scopo di specchiare la luce del sole, per rifletterla nel mio sguardo e irradiarla su tutta questa incredibile, meravigliosa, Ville Lumière.
Dischi ascoltati
Jamie XX, In Colour
Flume, The Difference (singolo)
Libri letti
Emile Zola, L’assommoir
Daniel Pennac, La fata carabina
Victor Hugo, Notre Dame de Paris