La parte più difficile nello scrivere un articolo è sempre il come cominciare. Questa volta il compito mi risulta più semplice perché voglio lasciare che a stupirvi sia la stessa immagine che mi si parò davanti agli occhi. Provate a pensare di essere da un paio di ore in viaggio in macchina per strade che via via che macinate chilometri diventano sempre più simili a quelle di montagna e che da rettilinee si trasformano in vie di tornanti. Sono giorni che viaggiate in auto con una buona media di chilometri al giorno, quindi siete un po’ distratti e un po’ stanchi finché, subito dopo l’ennesima curva, vi si para davanti agli occhi questo;

Benvenuti nella magia di Pitigliano, che mi è arrivata addosso come la sberla in faccia più piacevole della mia vita. Una sensazione che non dimenticherò mai e che in qualche modo spero di avervi trasmesso.
In cima ad una rupe e circondata su tre lati da altrettanti burroni sorge così una città fondata già nell’età del Bronzo scavata nel tufo, un materiale magmatico che le dona una caratteristica unica. Unica o quasi, perché Pitigliano fa parte di un gruppo di borghi chiamati “Le Città del Tufo, insieme alle non lontane Sovana e Sorano.
Andiamo con ordine.

A Pitigliano è piacevole passeggiare la sera dopo cena allontanandosi dal centro ed addentrandosi nelle vie in cui raramente si incontra qualcuno.
Spingendosi fino all’estremità della città si arriva inevitabilmente al confine con lo strapiombo, che la cinge da tutti i lati. Guardando giù si vede solo un gran buio, rotto solo dai fari di qualche macchina di passaggio e da una chiesetta bianca illuminata, che sembra quasi fluttuare nel vuoto.
Tornando poi verso il centro ci si può fermare in una delle tante vetrine artigiane, come quella di Marco Magro, “Le Vele- monili a vento”, un artigiano che lavora l’argento, i metalli e le pietre creando meravigliosi gioielli.
Per mangiare vi consiglio qualche posticino. Rinomato per la carne è il ristorante “La chiave del paradiso” dove ho assaggiato dell’ottimo cinghiale alle olive e dei pici all’aglione; qui in cucina amano il peperoncino. Da “Trattoria il Grillo” invece troverete diversi piatti tipici per tutti i palati. Infine da “Lapappalpomodoro” la cucina è un po’ rustica, a tratti alla buona, ma l’accoglienza è calorosa e il conto molto onesto.

Dando seguito alla curiosità culinaria, non potete poi non assaggiare un dolce tipico di Pitigliano dal nome molto particolare; “lo sfratto”.
Lo sfratto è un dolcetto a base di noci, scorza d’arancia, anice, noce moscata e miele tipico della tradizione ebraica, e che si può trovare a Pitigliano perché per secoli qui ha trovato sede una ricca comunità ebrea. Seppur questa comunità è ricordata per essersi integrata al meglio con quella della zona di Pitigliano, ci fu un episodio durante il quale Granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici inviò dei messi affinché sfrattassero gli ebrei dalle loro case e li intimassero ad andare a vivere nel Ghetto di Pitigliano. Il dolce, dalla forma allungata, ricorda proprio i bastoni di quei messi del Granduca.
Oggi a Pitigliano, conosciuta anche come “la piccola Gerusalemme”, è ancora possibile visitare il Ghetto. A questo link invece, potete trovare la ricetta dello sfratto.

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A 8km da Pitigliano sorge Sovana, un minuscolo paesino lungo 500 m avente per estremità da un lato ciò che resta di un antico castello e dall’altro il Duomo. Nel mezzo vi è una bella piazza, case con moltissimi fiori ed un giardino con piscina che cercherete di spiare un po’ meglio mettendovi in punta di piedi.

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La terza ed ultima città del tufo è Sorano, che ho avuto la fortuna di visitare in concomitanza di una giornata dedicata all’artigianato. Non solo, era in quei giorni in corso anche la Sagra del prosciutto di Sorano, aperta anche a pranzo. Quest’ultimo elemento mi ha dato modo di riflettere a lungo sulla tipica fierezza veneta in fatto di sagre, primato che forse andrebbe rivisto.

In questa terra in cui la vegetazione cinge i borghi, come a voler preservare un segreto, si trova un qualcosa che ancor oggi resta un mistero: le Vie Cave.
Le Vie Cave sono dei percorsi simili a trincee scavate nel tufo migliaia di anni fa. Alcune partono dalle città stesse, altre si snodano tra loro con percorsi lunghi chilometri, in certi punti la loro profondità arriva anche a 20 metri.
Ad oggi non è ancora certa la loro origine, che però generalmente viene attribuita al periodo etrusco, e non è chiara la loro funzione.
Passeggiandovi, si incontrano spesso punti in cui la parete è stata scavata per creare dei buchi, a volte delle vere e proprie necropoli con pertugi piccoli piccoli ma disposti secondo un ordine geometrico. Una delle ipotesi più diffuse è che le Vie Cave fossero legate al culto dei morti e degli dei, forse destinate a riti pagani. Per altri, le Vie Cave servivano invece come passaggio di transito, per far passare il bestiame o ancora come via di fuga e nascondiglio per gli abitanti della zona in caso di attacchi nemici.
Avevo letto delle Vie Cave prima di andare a visitarne una, il Cavone, ed ero quindi abbastanza preparata a quello che mi aspettava. Credevo, e invece no. Percorrere una via cava è un qualcosa che da una suggestione che difficilmente le parole possono rendere. Passo passo, vi farete la vostra idea sul mistero della loro storia, mentre vi calate in una vegetazione sempre più fitta che alla fine sbuca su di una collina coltivata a vite da cui potrete godere del panorama della valle assolata.

Se viaggiate in questa zona della Toscana, non potete dimenticare di cercare una delle tante fonti termali naturali della zona, tutte originate dalla presenza del Monte Amiata, un antico vulcano ormai spento, che sorge tra la provincia di Grosseto e quella di Siena, a dominare la Val di Chiana e la Val d’Orcia.
Tutt’intorno, a testimoniare l’antica attività vulcanica dell’Amiata ci sono le tante sorgenti di acque sulfuree tra cui le più famose sono indubbiamente le Terme di Saturnia.

Per dovere di cronaca vi preciso che le terme di saturnia che generalmente abbiamo in mente si chiamano in realtà “Le cascate del Mulino“. Ritratte nella foto qui sopra, sono la parte più nota e frequentata delle terme di saturnia perché l’accesso è completamente libero e gratuito. Nelle vicinanze vi è anche un complesso termale a pagamento.
Ma facciamo un passo indietro.
Inizialmente non ero molto convinta di andare ad immergermi in acqua calda il 10 di agosto, con un caldo da strapparsi la pelle all’ombra, a pochi giorni da ferragosto, in una delle mete più battute di tutta la Toscana. Arrivando, imboccando la stradina che porta alle Cascate del Mulino, l’ingorgo di macchine clacsonanti, un bar affollatissimo e personaggi di dubbio gusto in infradito e mutande mi hanno fatto pensare ‘ma dove siamo finiti?’. Poi abbiamo parcheggiato, siamo scesi di qualche centinaio di metri a piedi e le ho viste. Bellissime si, ma superaffollate. Trovare un posticino per appoggiare i nostri asciugamani e le nostre cose è stata un’impresa, il sole batteva, i sassi mi facevano male ai piedi. Ci avviciniamo finalmente alle vasche, entro, caldino, bisogna fare attenzione a non scivolare, ci facciamo spazio tra la folla, avvistiamo uno spazio libero, ci arriviamo, ci immergiamo sedendoci nella vasca, ok già meglio, mi rilasso distendendomi un po’ quel tanto da appoggiare la testa alla vasca e rivolgere il mio sguardo al cielo azzurro e……. paradiso.
Ve lo giuro, sono rimasta li immobile senza sentire nessuna necessità umana per tre ore di fila, senza battere ciglio nemmeno quando dei bambini a gattoni scalavano le mie gambe come se fossero state l’Everest.
Isolarsi in una bolla in cui niente di quello che ti circonda esiste veramente, fatto salvo per le terme stesse, è molto più facile del previsto. L’acqua continua incessantemente a sgorgare da una cascata e metro dopo metro scende, attraversa dolcemente tutte le vasche e alla fine il tutto si fa fiume.


Il nome di queste terme naturali deriva da una leggenda che vuole che questo sia il luogo in cui Giove scagliò un fulmine contro Saturno dopo un litigio tra le due divinità.
Per fortuna che hanno litigato, dico io.
Per concludere, un’informazione e un avvertimento.
L’informazione: sotto le vasche, stando verso sinistra con la cascata alle spalle, ci sono dei fanghi naturali che potete spalmarvi addosso. Non so dirvi a cosa servano, ma è molto divertente spalmarselo addosso ed aspettare che diventi secco per essere degli uomini di pietra.
L’avvertimento: quando pianificate le vostre vacanze, ricordatevi che saturnia vi spezzerà il cuore se ci venite solo una volta. Fate come me, mettete in conto di passare qui due pomeriggi.

Aimè, il nostro meraviglioso viaggio alla scoperta della Maremma volge a conclusione, ma sulla via di casa scegliamo due ultime tappe di cui godere. Questa volta però, siamo in Val D’Orcia.

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Ci fermiamo a Bagni San Filippo, un piccolo paesino in provincia di Siena.
Nascosto nel bosco, scorre un torrente lungo il quale, in alcuni punti, si sono formate vasche simili a quelle che si trovano a Saturnia. Sono molte meno, ma qui si è veramente immersi nella natura.
È però continuando a seguire il sentiero che costeggia il torrente che si arriva alla vera attrazione del posto, la balena bianca, ossia una enorme roccia interamente composta di boro, dalla cui sommità sgorga acqua calda.
Dicono che sia bello recarsi qui d’inverno, quando l’acqua calda crea dei vapori che, accostati al bianco lucente di questa roccia, creano suggestioni mistiche.
Sicuramente il punto di forza di questo luogo è essere immerso nella natura, e credo che ad essere qui in poche persone scatti qualcosa di veramente magico. Purtroppo, io ci sono passata il 14 di Agosto e la balena bianca e il torrente erano decisamente troppo affollati per entrare in contatto con lo spirito del luogo.
La promessa, è quella di ritornarci.

Non distante, restando sempre in provincia di Siena, ancora una volta la Toscana mi stupisce per l’incredibile unicità dei suoi luoghi.
Siamo a Bagno Vignoni, un piccolo paese che si sviluppa attorno ad una grande vasca di origine termale, attorno alla quale si è svolta la lunga storia del borgo, conosciuto già da etruschi e romani.
Tappa obbligatoria, lascia un bel ricordo se ci si siede al borgo vasca e se ci si concentra sull’immaginare il brullicare di vita intorno a questa vasca nei secoli passati. Oggi, qui ci sono solo hotel termali di lusso e ristoranti pretenziosi.

Come chiudere al meglio questo viaggio che in 2000 km ci ha portati alla scoperta della Toscana, delle sue colline, dei suoi paesaggi sconfinati, dei suoi borghi millenari e delle sue perle nascoste? Ovviamente con un piatto di pici all’aglione.
Ci fermiamo a San Quirico d’Orcia, alla Trattoria Osenna, dove concludiamo degnamente il nostro meraviglioso viaggio pranzando in un bellissimo giardino toscano.

Una risposta a "Maremma seconda parte: le città del tufo e le terme naturali"

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